New York dichiara guerra alle bici elettriche

New York si trova a fronteggiare un’emergenza inaspettata: quella della “pericolosità” delle biciclette elettriche. Dal 2016 a questa parte, essere trovati alla guida di una di queste bici a New York City dà una scossa peggiore di quella che potrebbe dare la batteria: la sanzione è infatti di $ 500.

Nel 2017 il sindaco Bill de Blasio ha annunciato un ulteriore giro di vite. Dal prossimo anno, tutti gli esercizi commerciali che saranno trovati a usare questi mezzi per la loro attività pagheranno $ 100 al primo fermo, e $ 200 per ogni successivo (a New York è legale possedere una e-bike ma illegale guidarla).

Nel solo 2017, a New York sono state sequestrate 923 e-bike, ed elevate 1.800 sanzioni a chi ha commesso il “reato di andare in e-bike”. Questo accanimento fa parte della “Vision Zero” del sindaco contro l’incidentalità sulle strade, un tema forte in questa fase di cambiamento radicale delle abitudini di mobilità della metropoli, in continuità con le politiche di demotorizzazione messe in atto dal precedente primo cittadino Michael Bloomberg, guidate dall’assessora Janette Sadikh-Khan.

Il sindaco attuale ha dovuto però ammettere che le bici elettriche non hanno finora causato vittime, e che la repressione è stata causata più che altro dalle lamentele, arrivate per motivi facili da intuire: le e-bike, leggere, potenti e silenziose, minacciano la tranquillità e la sicurezza dei pedoni, abituati a “sentire” arrivare i veicoli a combustibile fossile, più rumorosi.

Le e-bike, i cui conducenti sono sicuramente spericolati, sono anche in qualche modo costrette a dividere con i pedoni, a loro volta indisciplinati, lo spazio pubblico. Anche i ciclisti tradizionali iniziano a lamentarsi per l’arroganza di questi mezzi, che poco hanno ormai a che fare con la bici “dura e pura”, somigliando nei fatti a dei motocicli.

Sono state le comunità municipali ad accusare disagio per il traffico, a loro dire esagerato, delle e-bike, protocollando 311 reclami. A chi va attribuita la responsabilità di tanto clamore? A parte alcuni commuter casa-lavoro, gli e-biker sono fattorini, la maggior parte dei quali consegna cibo su ordinazione – forse proprio agli autori della protesta. Per questi lavoratori a basso reddito è essenziale fare più corse possibile e, specialmente per quelli più avanti in età, una e-bike è il mezzo perfetto per essere più produttivi in giornate che durano frequentemente oltre le 12 ore. Si tratta di immigrati, spesso gravati da debiti con chi li ha fatti arrivare illegalmente. Perdendo la bici, quasi sempre pagata con i loro soldi, perdono praticamente tutto, arrivando in alcuni casi al rimpatrio forzato. La città rischia così di perdere un’opportunità per una logistica di prossimità efficiente e sostenibile, anche economicamente.

In Europa c’è un regolamento molto preciso, anche se non applicato uniformemente, la direttiva 2002/24/CE, che stabilisce limiti precisi alla propulsione, che può soltanto assistere la pedalata. Negli Stati Uniti una e-bike può, invece, anche essere qualcosa che ha poco a che fare con una bici, anche se ci assomiglia. Spesso frutto di fai-da-te, le e-bike hanno il “gas” come le moto, e dovrebbero essere quindi immatricolate. Anche volendo, a New York non c’è ancora la possibilità di mettere in regola il proprio mezzo elettrificato, se questo non rientrasse nelle categorie assimilate a una normale bicicletta.

Il vero problema sembra però essere l’attuale design delle carreggiate e delle intersezioni, non ancora pronto ad accogliere l’innovazione di un traffico leggero prevalente, nonostante i notevoli sforzi di “riprogrammazione” messi in atto, anche a livello di indirizzo.

La rete ciclabile newyorkese, pur essendo cresciuta notevolmente negli ultimi anni, è ancora insufficiente. Tornando al divieto imposto per le e-bike, una città come New York dovrebbe dimostrare la sua “Vision” anzitutto parlando con i lavoratori; poi, con l’aiuto delle associazioni che sostengono la mobilità sostenibile e ciclistica, dotarsi di un regolamento più adatto alle caratteristiche della metropoli.

“Le e-bike non sono il problema,” ha dichiarato, all’indomani del nuovo annuncio di Bill de Blasio, Caroline Samponaro, direttrice di Transportation Alternatives. “Questa repressione è in tutta chiarezza orientata solo alle ragioni di chi si lamenta, non ai dati effettivi,” continua la Samponaro, “nella Vision Zero non dovrebbe esserci posto per provvedimenti dettati soltanto da reclami.”

In Europa, le bici a pedalata assistita sono un business ormai consolidato. Nella sola Italia, il mercato delle bici a pedalata assistita è cresciuto del 120% in un solo anno, e il nuovo impianto produttivo aperto quest’anno a Bologna da FIVE (Fabbrica Italiana Veicoli Elettrici), beneficia di un investimento di € 10 milioni.

In Germania il volume annuo ha raggiunto i € 2,6 miliardi, mentre entro il 2025 il giro d’affari globale di questi modelli dovrebbe raggiungere i $ 25 miliardi, un dato secondo alcuni sottostimato.

Rispetto ai veicoli a quattro ruote, le biciclette e i tricicli a pedalata assistita, più agili e leggeri, sono un buon compromesso sia per la mobilità individuale sia per la logistica di prossimità, nella quale sono da tempo impiegati. I dubbi sulla reale sostenibilità – anche economica – di una totale conversione del parco circolante privato con auto full-electric sono ormai ampiamente condivisi, sia a causa del litio impiegato, sia della crescente domanda di energia per la ricarica, che costringerebbe paradossalmente a maggiori emissioni inquinanti.

Le biciclette elettriche costano invece relativamente poco, sono esentasse, si rubano meno di una bici normale (togliendo la batteria sono inutilizzabili), impiegano meno energia, sono più sicure e stabili di una bici normale, oltre a occupare meno spazio e diffondere un’immagine più positiva di un ingorgo automobilistico. Soprattutto, il 50% degli spostamenti automobilistici in area urbana (EU 15, dati 2001) è inferiore ai 6 km, spesso molto meno, una distanza più adatta a una bici che a una full electric da 2 tonnellate.